Dalla rabbia verso Dio alla sottomissione gioiosa
Sono arrivata a incontrare e conoscere il Signore Gesù all’età di 38 anni.
Vivevo tranquilla, moglie soddisfatta e madre impegnata di 3 figli: avevo proprio una bella famiglia. Ma all’ improvviso tutto cambiò: mio marito fu vittima di un incidente mortale sul lavoro. Questo evento spezzò la mia vita e si portò via metà del mio cuore e della mia esistenza.
Improvvisamente non c’erano più prospettive nella mia mente e nella mia realtà quotidiana, il mio cuore era diventato insensibile, duro. Perché dovevo vivere? Perché alzarmi al mattino? Perché cucinare e pulire la casa?
L’unica ragione che potevo trovare era: per i miei figli. Essi erano parte di mio marito e ognuno di loro aveva qualcosa che me lo ricordava. Io li guardavo e mi dicevo: “Eccolo, è tutto suo padre”.
Cercando il ricordo del suo viso e del suo modo di fare nei figli, inconsciamente volevo tenere ancora in vita mio marito nella mia mente. Era doloroso, ma il mio cuore mi ricordava che l’amore per il mio consorte non era scomparso con la sua morte.
Ricordavo ogni sua abitudine e quando erano le 15,40 incominciavo a guardare l’orologio, perché quella era l’ora del suo ritorno a casa dopo il lavoro. Ma lui non tornava. Apparecchiavo come d’abitudine, ma poi, rendendomi conto di mettere un piatto in più, lo toglievo in tutta fretta per evitare che i miei figli lo notassero.
Quanto dolore può provare il cuore di un essere umano per la perdita di una persona cara! Mio marito aveva 38 anni, un fisico forte, amava lo sport e giocava a calcio, ma all’improvviso, nel pieno della sua vita, tutto finì.
Ti alzi una mattina e la vita cambia; diventa un vero sforzo continuare a vivere. E poi tante domande: “Perché proprio a me doveva capitare una cosa simile? Perché ai miei figli? Che male avevano fatto? Ma Dio esiste?
Come aveva potuto permettere una disgrazia tanto grande? Come aveva potuto togliere la figura paterna a 3 bambini di 4, 7 e 11 anni?
Non potevo accettare tutto questo, una realtà troppo dura, dolorosa, insopportabile. Era una vita che non sapevo affrontare, una prova troppo dura senza via d’uscita.
Festeggiare i compleanni dei bimbi era sofferenza, le ricorrenze erano amarezza, avrei preferito dimenticare o cancellare ogni festività presente nel calendario. Cercavo di mantenere le stesse abitudini di prima, ma non era più la stessa cosa, perché lui non c’era più.
Affrontare la crescita dei miei figli da sola, per un certo verso, mi dava un senso di valore, perché volevo che mio marito fosse fiero di avermi scelta come compagna per la vita.
Tutto quello che facevo era in funzione del suo ricordo e io dovevo fare ogni cosa come se lui fosse ancora vivo. Inutile dire che era uno sforzo immane.
Non c’era più contatto fisico tra noi, mi mancava poter parlare con lui, incominciavo a dimenticare quale fosse il timbro della sua voce. Io non volevo che ciò accadesse e me la prendevo con me stessa. Non era possibile che non mi ricordassi più come erano fatte le sue mani, il suo viso e che dovessi guardare una sua foto per ricordarmi certi suoi particolari. Mi sentivo in colpa.
Guardandomi dentro sentivo ancora una profonda ferita, un dolore vivo, non potevo accettare la sua morte, lo volevo ancora qui con me.
Incominciai a pormi delle domande concrete su come ristabilire un contatto con mio marito. Se c’era ancora vita dopo la morte fisica, ero sicura che lui avrebbe trovato il modo per farsi sentire. Dico questo perché ero certa del nostro legame profondo e del suo amore per me e per i suoi figli. Io avevo ancora bisogno della sua presenza e avrei voluto portare avanti l’educazione e la crescita dei nostri bambini insieme a lui.
Incontrai “per caso”, tramite una conoscente, una persona che nel passato aveva esercitato pratiche occulte e le chiesi se era possibile entrare in contatto con mio marito. Su mia insistenza facemmo questo tentativo.
Allora pensavo che non ci fosse nulla di male nel cercare di mantenere viva una relazione con un caro estinto. Mio marito mi amava, che male avrebbe mai potuto farmi?
Rifiutavo ogni considerazione o suggerimento che mi metteva in guardia dall’approfondire questa via. Non era mia intenzione cercare il contatto con gli spiriti, ma io avevo solo bisogno di mio marito, di un suo ultimo saluto, volevo sapere se era ancora al mio fianco, se mi amava ancora.
Ma anche questa ricerca non portò grandi risultati. Tutto sommato stavo vivendo un’altra delusione. Questi tentativi erano come un’acqua che non mi dissetava, anzi il mio cuore era ancor più ferito e sofferente, con una rabbia via via crescente.
Il mio cuore non parlava con voce udibile, ma i sentimenti creavano un malessere “palpabile”. Non volevo più vivere, ma i miei figli mi richiamavano al senso di responsabilità come genitore.
Mi dicevo che dovevo andare avanti, che dovevo farcela per amor loro, e così, per liberarmi dall’amarezza che mi schiacciava, incominciai ad imprecare contro Dio. In fondo era l’unico responsabile del mio dolore, della tristezza dei miei bambini, del loro cambio di carattere.
Mi sentivo in credito con Dio e molto arrabbiata con Lui. Nello stesso tempo, però, stavo diventando consapevole che non era vero che fossi atea. Infatti, non potevo prendermela con qualcuno che non esisteva.
Compresi più tardi che qui era iniziata la mia ricerca personale di Dio e che il Signore mi stava attirando alla sua presenza.
Ebbi l’occasione di sentire parlare di Gesù che invitava l’oppresso e il travagliato (Matteo 11:28) ad andare a Lui per trovare quel riposo di cui io avevo tanto bisogno. Volevo che queste parole diventassero reali nella mia vita. Una sera, in camera mia, feci questa semplice preghiera: “Signore, pur con tutti i miei conflitti e le mie arrabbiature, ti chiedo di entrare nel mio cuore. Non so cosa ne sarà della mia vita, ma io ho bisogno di te!”
Dopo alcuni giorni mi accorsi che i miei occhi riuscivano a vedere i prati davanti a casa e che il mio cuore provava gioia a quella vista. Percepivo nuove sensazioni, mai conosciute prima: era la presenza di Gesù!
E Gesù è con me da allora e la sua presenza reale mi ha aiutato, giorno dopo giorno, ad affrontare le battaglie che si sono susseguite nella mia vita.
Oggi, 15 anni dopo, riconosco che senza di Lui non potrei vivere, perché Gesù è l’unica persona che non mi lascerà mai, che non mi rifiuterà mai, l’unica acqua che mi disseta nel deserto della vita.
Oggi sono consapevole che l’amore di Gesù, che ha per me, per te e per tutte le creature che vivono e camminano su questa terra, è incondizionato e va oltre ogni ragione umana.
Lui, infatti, ha dato la sua vita per aiutarci a vincere il nostro dolore, per offrirci una migliore qualità di vita e quella serenità di cui abbiamo bisogno per affrontare le difficoltà e le pene che si presentano nel nostro percorso terreno: “Venite a me, voi tutti che siete travagliati ed aggravati, e io vi darò riposo. Prendete su di voi il mio giogo ed imparate da me, perché io sono mansueto ed umile di cuore; e voi troverete riposo alle anime vostre” (Matteo 11:28-29).
Oggi posso dire, senza dubitarne minimamente, che non vorrei e non potrei più pensare ad una vita senza Gesù, perché trovo in Lui tutto ciò di cui ho bisogno, e cioè “un marito, un padre, una madre, la fiducia, il riposo, il senso della vita”.
E poi ho trovato la risposta che cercavo: “Dio esiste!”