Costretta a dare il massimo

 

Vediamo il caso di una credente che si è vista confrontata in negativo con la sorella gemella, per tutto il tempo dell’infanzia e anche dell’adolescenza. Veniva picchiata spesso per la sua ribellione alle regole di casa, mentre l’altra era elogiata per la sua ubbidienza, per la sua diligenza e per il fatto di non creare alcuna preoccupazione.

La sua attitudine ribelle, poi, trovava alimento nel bisogno di essere vista e considerata anche lei dai genitori e dalla mamma in particolare. Ma questo tentativo, volto a cercare l’attenzione materna, non produsse altro che una intensificazione della riprensione e dei castighi corporei.

Entrata, poi, nel mondo del lavoro da adolescente, le veniva fatto notare, in termini del tutto negativi, che non lavorava mai tanto quanto la sorella e che, di conseguenza, anche il suo guadagno era inferiore.

Lei ne soffre molto, non sviluppa la minima autostima, pensa di essere sbagliata, di aver deluso le aspettative dei genitori, si sente rifiutata e messa da parte, cerca sempre di rincorrere le prestazioni della sorella per sentirsi rivolgere anche lei parole di apprezzamento, ma non fa mai abbastanza e l’amore della mamma sembra irraggiungibile.

 

In seguito, quando pensa ormai di vivere autonomamente dalle opinioni dei genitori e di non dipendere più dal loro apprezzamento, sviluppa un impegno lavorativo che va al di là di quanto richiesto. Lavora 10 ore al giorno e anche di più, dimostra un grande attaccamento all’azienda, dando il meglio di sé, vuole diventare la persona di fiducia del suo datore di lavoro, sopporta un carico di lavoro che andrebbe diviso tra due impiegate, è instancabile, tanto da portarsi anche a casa del lavoro che non ha potuto smaltire in ufficio, è sempre disponibile, anche nei periodi consacrati alle ferie e al riposo, e non si lamenta mai. La sua vita, quindi, viene scandita dal lavoro.

E’ diventata schiava del bisogno di dimostrare che vale, che ha delle capacità apprezzabili, che non è seconda a nessuno. Nel datore di lavoro vede la mamma e cerca in lui la compensazione per quanto le è mancato in famiglia: apprezzamento, considerazione, senso di valore, amore.

Ma questa ricerca non si appaga mai e ogni giorno servono delle conferme per calmare la sua sete di considerazione e di amore. Così il suo impegno non può cedere terreno, anzi percepisce la spinta a dare sempre di più, fino a sentirsi esausta e sfinita. Per giustificare questa sua attitudine, di fronte a se stessa e agli amici, anche perché è sempre più stanca e non le rimane mai abbastanza tempo per coltivare le relazioni, incolpa velatamente l’azienda di pretende sempre di più, ma in verità è lei che cerca di affermarsi agli occhi del suo datore di lavoro, accettando ogni volta quel carico di lavoro in silenzio.

E se nessuno la gratifica apertamente o così frequentemente come desidera, in lei nasce la convinzione che nessuno è in grado di svolgere il suo lavoro in maniera così perfetta e che la sua persona è indispensabile all'azienda. Anche in questo modo lotta contro il senso di scarsa autostima che la perseguita.                                                                                                                                       In questa ricerca ossessiva vive un profondo egocentrismo e nella sua vita non c'è spazio per la considerazione dei bisogni altrui. Tutto ciò che fa, anche se in apparenza buono per il suo prossimo, è     rivolto praticamente solo alla percezione dell'apprezzamento di chi la circonda.

 

Lei non sa che le ferite emozionali dell’infanzia non potranno mai essere sanate, se non potendo ritornare indietro nel tempo e rivivendo al positivo le stesse esperienze, cosa non possibile. L’unico mezzo è quello di effettuare un trapianto di cuore, ricevendo così un cuore sano, il cuore di Gesù.

Il demonio ne approfitta e la obbliga, controllando i suoi pensieri e le sue emozioni, a continuare questa affannosa ricerca, senza però farle capire la ragione di questa sua attitudine, ma producendole una vaga soddisfazione di fondo, un’apparente compensazione emotiva, pur di mantenerla su questa linea.

 

Vediamo adesso alcune aree di dominio diabolico, sulla base dei nomi attribuitisi dal demone nel momento della sua uscita dalla sua vita:   

“Sono il senso di inferiorità che le ho generato nei confronti della sorella”

“L’affanno diabolico della ricerca della propria autostima”

“Lo zelo diabolico che la obbliga a dare, dare, dare, perché venga riconosciuta la sua esistenza”

“Spirito di competizione che la costringe a una gara eterna per l’affermazione della sua personalità”

“Il bisogno diabolico di essere simile alla sorella per ottenere l’attenzione dei genitori”

“Odio primordiale per la sorella, perché le sottraeva l’affetto dei genitori”

“Sono il senso di giustizia propria che si nutre della sofferenza per lo slancio del dover dare per essere riconosciuta”

“Sono il dio-lavoro e la obbligo a sacrificarmi la sua vita per ottenere in cambio il riconoscimento della sua esistenza”

 "Sono il bisogno diabolico di essere considerata e stimata come una persona" Audio                           “Ricerca diabolica dell’affermazione della propria personalità attraverso la dimostrazione della abnegazione al lavoro”

“Spirito di vanagloria ricercata nella consacrazione della propria vita al dio-lavoro”

“Spirito della diabolica dedizione in cui trovare l’affermazione della propria personalità e il potere e la gloria”

“Sono l’amore falso che cerca l’appagamento dei propri bisogni, annientando la sensibilità verso i bisogni degli altri”